Si muove per linee geometriche “Massa e Potere #2”, lo spettacolo che Claudio Collovà ha messo in scena questa estate in prima assoluta per la XXXIV edizione delle Orestiadi di Gibellina.
Uno spettacolo pieno di umanità e di azioni molto concrete e chiare. Tutte immagini desunte da una lettura piena di amore e intelligenza che il regista conduce ormai da anni sul libro di Canetti, che nel suo studio descrive i molti comportamenti della massa e la definisce la vera scintilla del potere. E’ un flusso inarrestabile di pagine come inarrestabile è il flusso dello spettacolo, agito da 24 attori e danzatori provenienti da tutta Italia.
Una massa che si presenta all’inizio dello spettacolo sporadica e scarna, ma che si ingrossa via via fino a diventare un compatto coro di presenze mute (almeno per quanto riguarda la parola) ma che vive nei volti una espressività che colpisce il cuore e racconta moltissimo.
Sulle musiche di Giuseppe Rizzo, si muove una danza che a volte è astratta ma il più delle volte concreta, e che si presenta ai nostri occhi come una pittura in movimento. Sventola una bandiera rossa su una catasta di morti generata dal panico di fronte a una porta chiusa, si corre nel vortice di una battaglia armati di lunghe lance come nei dipinti di Paolo Uccello, si sfila in una processione religiosa con la bocca spalancata al cielo forse per ricevere la benedizione prima della lotta, si forma un irriverente corteo funebre in stile circense, dove le donne piangono lagrime esagerate e perdono sempre il fazzoletto come Desdemone distratte, si scatena una corsa esilarante dietro il morto che per un malinteso viene portato via a folle velocità.
Sarebbe lunghissimo citare tutte le scene a cui abbiamo assistito, quasi un continuo girare pagina senza sosta, un lavoro che per due ore e mezza ha letteralmente rapito il pubblico avvolto in un denso silenzio.
Lo stesso Collovà ha aperto lo spettacolo assistendo con noi in sbilenca posizione e spalle al pubblico, il filmato di apertura che su musica elettronica mostrava un vortice di masse, da quella politica a quella religiosa, da quella degli operai a quelle dei dimostranti in scene urbane, nel montaggio ideato da Piero Consentino. Ed è stato il regista a condurre le danze con segni aperti di braccia, quasi che ordinasse lui il destino dei suoi attori, e ad aprire e chiudere il solo elemento della scena, una porta antica, quasi medievale, che lasciava passare quelle anime o le rimandava chiudendosi nel dietro. La porta ha sputato fuori immagini e immagini e ha scandito il tempo, sempre preceduta da una foto di gruppo, masse di morti in posa che dopo averci guardato con un lieve sorriso chiudevano gli occhi con le dita e morivano risucchiati con passo da fantocci.
Un lavoro fisicamente estenuante che mostrava linee, cerchi, rette, come nella scena di una metropoli impazzita e indifferente, o sotto il bombardamento con andatura circolare stile Guantanamo. Collovà si è lasciato penetrare dalle descrizioni e dai saggi commenti di Canetti, e ne ha fatto uno spettacolo tra i suoi più forti ed emozionati. Non si è preoccupato della struttura narrativa, ma questo è un suo segno distintivo, e ha raccontato per mezzo di analogie, immagini, pittura, spesso con una sintesi davvero intuitiva. Ad aiutarlo la grande bravura di un cast di attori instancabili e con un controllo del corpo molto vicina al vero teatro fisico di matrice nord-europea.
C’è inoltre da dire che titolo e processo hanno coinciso. Il TMO di Palermo, il Teatro Mediterraneo Occupato si è fatto produttore dello spettacolo, e di fatto ha indicato una via da perseguire, e cioè quella di un teatro frutto di una collettività, e che può nascere da una gestione partecipata e comune. Un teatro politico dunque nel vero e nobile senso della parola. Lunghi applausi alla fine con molte persone in capannello a discuterne fino a notte. Ma si sa, da una grande massa se ne formano sempre tante piccoline.