Ci vuole il fisico per aggredire la pietra, per estrarre dalla roccia l’arte. Gli strumenti non sono delicati pennelli ma martello pneumatico, sega elettrica, scalpello. Nel 2014 c’è ancora chi per passione e per lavoro fa lo scultore. Un settore della cultura legato nell’immaginario collettivo all’antichità, alla Grecia o ai Bronzi di Riace. Più comuni sono le creazioni fatte di fine porcellana, ceselli di ceramica, piccole cose ma l’imponenza artistica di Giovanni Lo Verso, giovane palermitano, è affascinante e felicemente anacronistica.
Diplomato all’Accademia di Belle arti, nella sezione scultura, ha scelto come lavoro per la propria vita la sua passione. Il suo pallino sono dei cubi animati, teneri, solidi, divertenti e iconici. Un’arte nobile la sua che strizza l’occhio alla modernità e al design.
Come è che uno si sveglia dall’oggi al domani scultore?
Non so ma lo sono ormai da venti anni. La mia è un’esigenza, come un amore che non è facile da spiegare. Posso dire semplicemente che è il mio miglior modo di raccontarmi e di esprimere un concetto.
Ok ma il primo scalpello in mano chi te l’ha messo?
Io, da solo ho imparato, ho studiato. Lo studio della scultura esiste per quelli che come me vogliono tradurre in forma ogni tipo di materia, che essa sia la pietra o altro.
Quindi sei andato tu verso la scultura per un’esigenza che è nata spontaneamente dentro di te e che ti ha spinto verso lo studio e la pratica. Ed i cubetti?
Quadrare per me è, come per un fotografo, concentrare l’attenzione su un dettaglio, che in questo caso è un volto. Ognuno dei miei cubi ha un volto un nome diverso. Perché è lì che si distingue un soggetto da un altro, infatti ognuno è diverso dall’altro.
Quanti anni fa è nato il primo?
Il primo coincide più o meno con la nascita di mia figlia, nel 2008. © Riproduzione riservata