Un’occasione per ripristinare lo stato delle cose, chiedendo che le venga restituito il bene, in qualunque condizione esso sia. E’ stanca e non vuole più stare zitta, Emanuela Alaimo, forte e risoluta come sempre, e alle 10.30 di giovedì 24 settembre sarà al Bar del Bivio insieme ai legali che l’hanno nel tempo assistita nella sua lunga e sofferta vicenda, per spiegare cosa sta succedendo da diversi mesi a questa parte.
«La cosa paradossale è che l’immobile è mio – spiega la Alaimo, uno dei primi personaggi politici (ex assessore comunale al Bilancio, al Patrimonio e alla Condizione Femminile) a raccontare pubblicamente di essere rimasta vittima dell’usura – ma non riesco a entrarne nuovamente in possesso. Lo diedi in gestione nel 2010 a Marco Arena, imprenditore che mi era stato consigliato da persone specchiate».
Dopo appena 4 anni, però, l’immobile venne sequestrato perché ritenuto dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Palermo nella disponibilità economica del padre, Salvatore Arena, imprenditore vicino ai boss del clan di Villabate. Così, il bar fu affidato a un amministratore giudiziario, tale avvocato Di Rosa, che lo prese in carico nel luglio del 2014 e lo chiuse a dicembre dello stesso anno per incapacità a gestirlo. Un’attività, il Bar del Bivio, che nasce nel lontano 1954, diventando ben presto punto di riferimento di tutta la borgata e non solo.
«A parte dal tempo e dall’incuria, in questi ultimi mesi il bar è stato distrutto dai vandali senza che potessi fare niente. Vista l’attuale situazione – tuona la Alaimo, oggi presidente del “Coordinamento vittime del racket e dell’usura” – chiedo di poterlo riavere per potere continuare a portare avanti il sogno che fu prima dei miei genitori, poi mio e della mia famiglia. Il bene, lo ribadisco, è mio e ho diritto a prenderne nuovamente possesso».
Giovedì mattina, accanto alla Alaimo e alla sua famiglia, ci saranno gli abitanti della borgata e alcuni rappresentanti di associazioni di categoria che si occupano di usura e racket in città.
«Ridarcelo significherebbe molto – conclude l’imprenditrice – anche perché potrebbe tornare a essere quel luogo di socialità per la borgata, nella quale si sono ben pochi punti di aggregazione. Un’occasione per dimostrare che la parola legalità ha una sua concretezza: quella di stare dalla parte dei giusti e difenderli nelle battaglie per i loro diritti».