Sergio Ruffino ha raccolto in questi anni documenti originali, molti dei quali difficili da reperire, tra dichiarazioni, deposizioni, anche le lettere anonime che arrivavano ad Insalaco e che lo minacciavano ogni volta che quel sindaco si permetteva di denunciare le connivenze mafiose al Comune di Palermo; ma anche ricostruito la vicenda e la personalità di Insalaco fin dalle sue origini di “segretario dai calzoni corti”.
“Era il 92, avevo 11 anni e si faceva un’intensa attività di laboratorio di impegno civile nelle scuole – racconta Ruffino – erano passati tre anni appena dalla morte di Insalaco e ricordo che ero a conoscenza di quasi tutte le vicende ed i delitti eccellenti: quando per la prima volta sento il suo nome per puro caso, già mi venne data quella risposta che seguirà negli anni avvenire: lascia perdere è controverso. E non capii da principio se si trattava dell’uomo o della storia. In quel momento dimenticai, ma l’idea di studiare la sua figura non morì lì, ed anni dopo, nel 2005, decisi di approfondire la vicenda.
Delle conturbanti e misteriose storie che si raccontano, alcuni hanno fondi di verità ma molte altre che circolavano attorno a quegli anni si sono rivelate inesatte, bufale gonfiate per creare ad ogni costo “il caso”.
Ed il “caso” c’è davvero e si chiama “Palermo”, perché parlando di Insalaco – continua il regista – non si può prescindere dalla città di quegli anni; Giuseppe Insalaco è l’emblema di quella città “sommersa” e fradicia, dai fili annodati e dai cavi elettrici scoperti, mi resi conto che era davvero un dramma in tre atti, come lo definiva Leonardo Sciascia all’epoca; e credo la morte civile peggiore che abbia fatto un uomo che, in fondo, abbia tentato di cambiare “le regole del gioco” a Palermo”. Credo anche che, nonostante “disordine e generosità”, dopo quanto ho letto e visto o toccato con mano, si debba davvero ridimensionare la figura di Giuseppe Insalaco, rimasto vittima di una “terra di mezzo” dove nessun palermitano ama dirsi passeggiare, mentre i più preferiscono schierarsi quali buoni e cattivi: elenchi apparenti, come quelli trovati tra le carte che il sindaco dei cento giorni ha lasciato a futura memoria (“da aprire soltanto in caso di fatti eccezionali”, preludendo alla sua morte) ma che di fatto testimoniano come a Palermo siamo tutti soggetto e oggetto, le etichette fanno solo comodo a noi come agli altri.
Oggi Insalaco è relegato nella “attesa perenne”; non se ne parla, si ha pudore, imbarazzo, disagio o anche rabbia per i troppi anni di dimenticanza: credo che la sua storia meriti di essere raccontata anche per riabilitarne l’immagine – conclude Sergio Ruffino – perché nel bene e nel male ha lasciato uno squarcio a Palermo permettendo di vedere quelle convergenze e cointeressenze politico-mafiose che nessuno osa davvero mai confermare; oltre che una ferita ancora aperta nella città, che potrà chiudersi soltanto quando Insalaco uscirà da questa sorta di “limbo”: che a Palermo non è altro che l’Eterno Presente”.
Il documentario ed il libro di Ruffino, che saranno pronti a breve, sono anche due progetti “propedeutici” per “Cento Giorni Sindaco”, la sceneggiatura che il regista ha scritto già da alcuni anni e su cui sta lavorando per realizzarne il film per il cinema.